I giardini nel contesto europeo attraversano tre fasi comuni: una prima impostazione strutturale è quella della fine del ‘700 legata al movimento paesaggista; durante l’800 si assiste ad una spiccata gestione ortoculturale delle specie, distinta dagli studi botanici; ed infine nel secolo scorso predomina una ricomposizione dei giardini attraverso i colori, le forme e l’architettura delle piante.
Dinamiche simili sono quelle che hanno caratterizzato anche i Giardini Botanici Hanbury, la cui condizione attuale è il risultato di due momenti: il primo, tra il 1867 e il 1907, vide la conduzione da parte di Thomas e Daniel Hanbury, il quale contribuì soprattutto a valorizzare il gusto per il collezionismo e lo studio di piante esotiche; il secondo momento, iniziato nel 1918, può essere attribuito a Cecil e Dorothy Hanbury, e diede risalto all’aspetto estetico del complesso.
Dorothy Hanbury operò diversi alleggerimenti per aprire interessanti visuali su emergenze architettoniche e botaniche, in modo che i vari elementi vegetali non intralciassero lo sguardo verso i punti più panoramici. Dorothy, nella sua ricerca degli effetti cromatici, studiò come accostare fioriture, sia estive che primaverili, seguendo motivi di ordine scenografico. In questa riorganizzazione dei Giardini si avvalse dell’aiuto del padre John Frederic Symons-Jeune, noto architetto del paesaggio, e del fratello Bertram Symons-Jeune, conosciuto per i suoi progetti di giardini rocciosi.
In realtà lo stacco tra queste due fasi di conduzione gestionale del complesso non fu mai così marcato, dal momento che nei Giardini si cercò sempre di conciliare la ricerca e l’attività scientifica con gli aspetti paesaggistici, senza quindi trascurare mai l’estetica degli spazi.
All’interno del complesso è possibile osservare numerosi alberi storici e altre piante significative che testimoniano momenti importanti della vita di Thomas Hanbury e scelte particolari nella sua conduzione dei Giardini.

I Giardini Botanici Hanbury ebbero origine nel 1867. Il podere era costituito nella parte centrale da oliveto e, in parte minore, da agrumeto e vigneto, disposti su fasce.
Da questa base agricola, i fratelli Hanbury diedero vita al sogno che coltivavano sin dalla giovinezza.
Le piante scelte per essere introdotte nei giardini non venivano solo considerate nel loro aspetto vivaistico ed esotico, ma erano anche oggetto di ricerche farmacologiche e studiate per la loro importanza economica.
Un esempio è dato dagli individui di Schinus molle (HT01) che si incontrano incassati nel muro dell’aioletta vicino l’ingresso carraio. Inseriti nel dicembre del 1867, meglio conosciuti come falso pepe, questi alberi appartengono alla famiglia delle Anacardiaceae e sono originari degli altopiani di Bolivia, Perù e Cile. Sono molto apprezzati per la loro forma, simile a quella del salice, e per l’essenza odorosa che caratterizza ogni parte della pianta, soprattutto le bacche che sono utilizzate come spezia. Queste però possono essere consumate solo in piccola quantità poiché contengono sostanze leggermente tossiche.
Nella medicina tradizionale, il falso pepe veniva usato per trattare ferite e infezioni, grazie al suo potere antisettico. È stato anche usato nei secoli come antidepressivo e diuretico, e per alleviare mal di denti, reumatismi. Gli individui presenti nei Giardini Hanbury si sono perfettamente acclimatati, fioriscono tra giugno e agosto e fruttificano tra settembre e dicembre.
Nell’aiuola antistante Casa Giacinto, possono essere osservati due grossi cespugli di Rosa banksiae lutescens (HT02). Questa rosa a fiori gialli era già coltivata nei Giardini nel dicembre del 1870; il taxon fu infatti scoperto in Cina ed introdotto in Europa proprio da Thomas Hanbury. Inoltre Sir Joseph Hooker, che diede un compendio dell’introduzione della Rosa banksiae in Europa, illustra in particolare questa forma gialla proveniente da La Mortola.
La specie è originaria della Cina occidentale, in particolare delle regioni dello Yunnan e dello Shanxi; diventata avventizia, gli individui all’interno dei Giardini fioriscono tra aprile e maggio e fruttificano tra novembre e dicembre.
Le prime piante di rose vennero portate nell’autunno del 1867 e provenivano dal giardino paterno a Clapham Common; contemporaneamente vennero comperate altre specie e cultivar dai vivai Huber a Hyeres, Nabonnand a Golfe-Juan e dal giardino Thuret a Cap d’Antibes.
Nell’aiuola sotto il sentiero “Paramu”, si incontra una piccola distesa di Macfadyena unguis-cati (HT03).
Appartenente alla famiglia delle Bignoniaceae, questa specie è originaria del Brasile; si è spontaneizzata all’interno dei Giardini e fiorisce tra maggio e giugno. I primi esemplari furono introdotti nel 1875.
Il 1875 è un anno rilevante nella storia dei Giardini Hanbury, segna infatti la morte di Daniel Hanbury, colui che aveva fornito le basi scientifiche per l’impianto del giardino di acclimatazione. Rimasto solo nell’organizzazione della gestione dei giardini, Thomas chiamò alla direzione esperti botanici dalla Germania come Gustav Cronemayer, Kurt Dinter e Alwin Berger.
Dalla Rotonda si gode di una spettacolare vista aerea (HT04) che permette di osservare come le zone periferiche e più scoscese erano, e sono tutt’oggi, coperte da vegetazione naturale costituita da Pinus halepensis (pino d’Aleppo) e da altre specie mediterranee.
Il 25 marzo 1882 la Regina Vittoria, durante una visita alla Mortola, guardando il mare disse “è un quadro perfetto, il ritratto del Paradiso”.
ll pino d’Aleppo è una specie termofila ed estremamente resistente alla siccità. In Italia è presente in natura con popolazioni relittuali, in ambienti rupestri e calcarei: in alcune aree costiere del Gargano, della Liguria (Balzi Rossi, Capo Noli), e in Sicilia.
Una curiosità artistica: il pittore Paul Cézanne aveva un pino d’Aleppo nel suo giardino in Provenza; quest’albero fu da inspirazione e modello per il suo famoso dipinto, The Big Trees.
Sostando sulla scaletta a sinistra della discesa principale, è possibile constatare la forte pendenza del terreno e i relativi fenomeni di dilavamento (HT05).
Nel 1868 divenne curatore dei giardini l’agronomo ed architetto del paesaggio Ludwig Winter. I fratelli Hanbury e Winter dovettero risolvere prima di tutto il problema del dilavamento del terreno a causa delle piogge autunnali. Intervennero con importanti operazioni di modellamento del terreno; al contempo dovettero anche predisporre sistemi di irrigazione che permettessero di fronteggiare le siccità estive.
L’esemplare di Ceratonia siliqua (HT06) nell’aiuola ad angolo con il Viale delle Cycas, fu piantato già nel 1867. La specie appartiene alla famiglia delle Caesalpiniaceae ed è originaria della Penisola Arabica, nonostante si sia diffusa e spontaneizzata in tutto il bacino del Mediterraneo.
Il Carrubo è una pianta rustica, poco esigente, che cresce bene in terreni aridi e calcarei; fiorisce tra ottobre e novembre e fruttifica tra settembre e ottobre.
In Italia è coltivato in Sicilia, dove sono ancora attive alcune aziende che trasformano i frutti in semilavorati, utilizzati nell’industria dolciaria e alimentare. I frutti, oggi impiegati nell’alimentazione del bestiame, un tempo venivano usati per la fermentazione e la produzione di alcool etilico.
In arabo i semi venivano chiamati khirat (carato); essi sono particolarmente uniformi come dimensione e peso, tant’è che costituivano l’unità di misura (il carato) usata per la valutazione delle gemme. Si riteneva infatti che il loro peso fosse sempre costante ed equivalente a circa 1/5 di grammo.
Dati storici testimoniano la presenza del Viale delle Cycas già completo nel 1905. La collezione comprende diverse specie considerate dei veri e propri fossili viventi. Si
tratta infatti di un gruppo di origine molto antica che nell’Era Mesozoica (da 200 a 100 milioni di anni fa) rappresentava circa due quinti della flora terrestre.
Gli esemplari di Cycas revoluta (HT07) che si possono osservare sono sia polliniferi (maschili) sia ovuliferi (femminili). La specie è originaria dell’Asia sudorientale e del Giappone, e si è ben acclimatata all’interno dei Giardini; il polline viene prodotto in agosto, e i semi maturano verso aprile.
Il midollo del tronco è utilizzato nel mondo orientale per la preparazione del sago, una fecola di impiego alimentare, che viene anche esportata.
Un avviso per chi tiene animali domestici in giardino: le parti della cycas se ingerite da cani o gatti possono provocare danni respiratori, e nei casi più gravi anche la morte.
La collezione di Cycas contiene anche numerose Zamiaceae, tra cui Encephalartos altensteinii, E. lehmannii, ed E. horridus (HT08), provenienti dalla provincia del Capo.
Inseriti nei giardini prima del 1889, gli individui sono in parte assistiti ed in parte acclimatati, e non producono semi.
Il nome del genere Encephalartos deriva dal greco en = dentro, kephalé = testa e ártos = pane, in riferimento alla caratteristica che il fusto è internamente molto ricco di amido.
In particolare, Encephalartos horridus è una specie in via d’estinzione inserita nella lista Rossa della IUCN. Storicamente fu distrutta in natura a causa della raccolta e del collezionismo, ma grazie alla coltivazione nei vivai e nei giardini, questa pressione si è oggi ridotta.
Scendendo lungo il sentiero che affianca l’aiuola a sud ovest del Tempietto delle 4 Stagioni, è possibile ammirare dei grandi alberi che furono piantati nei primi anni della vita dei Giardini. Si tratta di Pinus canariense (HT09), una specie originaria delle Canarie (Tenerife, La Palma e Gran Canaria), dove crea delle foreste altissime. Nell’ambiente naturale, la loro chioma contribuisce al bilancio del ciclo dell’acqua sulle isole. I rami infatti intrappolano le correnti d’aria provenienti dall’Atlantico,
condensandole. Le gocce d’acqua scivolano lungo il fusto fino a terreno dove vengono assorbite e percolano nelle falde acquifere sotterranee. Gli individui presenti nei Giardini sono avventizi, producono polline tra marzo e aprile e maturano i semi tra agosto e ottobre.
Nella stessa aiuola è presente un esemplare di Cupressus lusitanica (HT10) di grandi dimensioni; quest’albero ormai spontaneizzatosi, deriva da una partita di semi ricevuta da Thomas Hanbury nel 1869 da M. Thuret di Antibes. È inevitabile ricordare che tra i proprietari e i curatori de La Mortola si era instaurato un rapporto particolare e costante con il diplomatico Gustave Thuret, il quale aveva creato ad Antibes uno dei maggiori giardini d’acclimatazione europei.
Conosciuto come cedro bianco, il Cupressus lusitanica è una specie nativa del Messico e dell’America centrale (Guatemala, El Salvador, Honduras). Il nome scientifico “lusitanica” cioè del Portogallo, si riferisce alle più recenti coltivazioni con piante importate dal Messico al monastero di Buçaco in Portugallo intorno al 1634; questi alberi avevano più di 130 anni quando la specie botanica fu descritta da Miller nel 1768.
È ampiamente coltivato come albero ornamentale in tutte le regioni temperate e subtropicali.
In alcune parti del giardino sono presenti limitate aree a travertino, che originano un terreno sabbioso, ottimo per la coltivazione, ad esempio, del genere Melaleuca (HT11).
Melaleuca appartiene alla famiglia delle Myrtaceae ed è diffusa soprattutto in Australia. Da essa si ricava un olio essenziale usato in medicina naturale come germicida e cicatrizzante, antisettico, antimicotico, antibatterico e antivirale, molto utile inoltre per evitare le infestazioni da pidocchi e da pulci. In inglese è detto tea tree oil (letteralmente olio dell’albero del té) e viene bevuto come infuso. Veniva addirittura sorseggiato come té dal capitano Cook sbarcato in Australia con il suo equipaggio.
L’area al di sotto del Tempietto delle 4 Stagioni ospita un’abbondante vegetazione spontanea, tra cui Artemisia arborescens (HT12) è un elemento che ricorda quanta attrazione la vegetazione mediterranea esercitava sui turisti che all’epoca di Thomas giungevano dal Nord Europa.
L’esemplare di Schotia brachypetala (HT13), ospitato nella fascia sovrastante la Pergola principale, fiorì per la prima volta nel luglio del 1909. Ormai ben acclimatatasi, la pianta continua a fiorire tra giugno e luglio e fruttifica tra gennaio e febbraio. La specie appartiene alla famiglia delle Caesalpiniaceae e cresce nelle zone subtropicali dell’Africa, in particolare negli altopiani dello Zimbabwe. Il nome comune di albero dei pappagalli ubriachi è dovuto all’elevato numero di pappagalli che si posano sull’albero durante la stagione di fioritura; i fiori infatti contengono un nettare che tende a fermentare, col risultato di dare un effetto narcotico agli uccelli.
Poco più avanti si incontra un esemplare ben acclimatato di Convolvolus floridus (HT14) inserito nei Giardini nel 1869; in quell’anno molte piante furono fatte arrivare
da Parigi, da Montpellier, da Kew, anche grazie ai rapporti con scienziati, direttori di giardini botanici e commercianti di piante.
Questo convolvolo in particolare è originario delle Canarie; si tratta di un arbusto perenne e sempreverde che predilige i climi caldi, fiorisce tra maggio ed agosto e
fruttifica ad agosto.
Nel 1871 Thomas e Daniel Hanbury visitarono l’Oriental Garden di Grimaldi, vicino a Mentone. Qui, in Costa Azzurra, fu Bennet uno dei primi a creare un giardino d’acclimatazione che divenne ben presto famoso in tutta Europa.
Alcuni elementi del giardino di Bennet, si ritrovano anche a La Mortola, primo tra tutti la pergola. Il pergolato, detto Topia, venne restaurato nelle sue parti portanti e ornato con la collezione di piante rampicanti.
Un esempio è l’esemplare di Solanum wenlandii (HT15) piantato nel 1901.
Originaria del Costa Rica, questa specie semisempreverde e rampicante presenta un forte polimorfismo fogliare: le foglie alla base della pianta sono segmentate, quelle nella parte superiore sono trilobate e infine, verso l’apice, diventano intere e oblungo-acuminate.
Mantenendo i terrazzamenti originari furono create delle zone, dove la vegetazione, che in quel periodo era soprattutto d’alto fusto e sempreverde, era raggruppata per
ecosistemi di provenienza. Un esempio è dato dall’Area delle Succulente che ospita diverse collezioni di Euphorbiaceae, Cactaceae, Agavaceae, Aloaceae.
All’interno di essa è possibile ammirare un vetusto esemplare di Beaucarnea recurvata (HT16) piantata nel 1888 e ben acclimatata. La specie, conosciuta con il nome
comune di pianta mangiafumo, appartiene alla famiglia delle Dracaenaceae. Come la maggior parte delle piante succulente può tollerare per alcuni periodi la carenza d’acqua. È una pianta a crescita lenta che nella parte bassa del caule assume con il tempo una tipica forma globosa e “panciuta”. In natura può raggiungere anche i 10 metri d’altezza con un aspetto arboreo.

Thomas e Daniel, ancor prima di imbattersi nella proprietà de La Mortola, erano in contatto con Robert Fortune, il quale esportava numerose piante esotiche dalla
Cina. Da questa regione arriva ad esempio l’esemplare di Acer oblongum (HT17) piantato nel 1870 ed ospitato nell’aiuola ad est della Grotta della Schiava. Una curiosità: le foglie di questo albero vengono utilizzate nel paese d’origine per avvolgere e conservare frutti e radici.
Un altro dei grandi alberi storici dei Giardini Hanbury è il Cedrus deodara (HT18) visibile nell’area sottostante la Pergola principale. Questa specie, appartenente alla famiglia delle Pinaceae, è nativa del versante occidentale dell’Himalaya, diffuso nel Pakistan (dove è l’albero nazionale), nel Kashmir, in Tibet e in Nepal. Si trova aquote intorno i 1550-3200 metri di altitudine. Il suo utilizzo principale è quello ornamentale, per cui fui introdotto in  Europa nel 1820. L’epiteto specifico deriva dal Sanskrito devad ru, albero di Dio: deva (dio) and d ru (legno). Le foreste di cedri furono i luoghi preferiti per la meditazione dagli antichi saggi e dalle loro famiglie che erano devoti al dio Shiva. Il legname veniva utilizzato storicamente per la costruzione dei templi religiosi e la produzione di incensi. Le proprietà curative sono inoltre indicate nella medicina Ayurvedica, e l’olio viene impiegato in aromaterapia.
Dal punto di vista agronomico, cresce bene su terreni ben drenati, senza ristagno d’acqua, anche ricchi di calcare. La specie si è ben acclimatata all’interno dei Giardini, dove produce polline e semi tra novembre e dicembre.
Trai numerosi contatti, Thomas Hanbury conosceva, ad esempio, il giardino di Augustus Smith nelle isole Scilly. Smith, uno degli esperti più autorevoli del tempo, era riuscito a creare una meraviglia botanica ricca di specie africane, australiane e americane.
Dall’Africa proviene ad esempio l’esemplare di Dovyalis caffra (HT19) inserito nel 1872 nell’aiuola del tornante ad est del Palazzo. Questa specie, appartenente alla famiglia delle Flacourtiaceae e conosciuta come mela del fiume Kei, è originaria delle regioni del Sudafrica. I frutti possono essere mangiati freschi, confezionati in marmellata o impiegati nella preparazione di dessert. Resistente al sale, viene oggi coltivata anche nelle regioni costiere del Mediterraneo, in California e in Florida. Gli individui presenti nei Giardini sono ben acclimatati, fioriscono tra aprile e maggio e fruttificano tra agosto e settembre.
All’ingresso del Piazzale Nord davanti il Palazzo, sulla destra è possibile osservare alcuni esemplari di Oreopanax dactilifolius (HT20) inseriti nell’agosto del 1872. La specie, appartenente alla famiglia delle Araliaceae, è un arbusto endemico del Messico che cresce in terreni a pieno sole o abbondante luce diffusa. È discretamente diffuso nei giardini della Riviera dei Fiori, dove gli inglesi testarono la sua acclimatazione all’aperto.
Bisogna infatti ricordare che la conoscenza di nuove specie botaniche esotiche aveva portato gli inglesi a voler coltivare queste piante nei loro giardini. Era nato così il “sub tropical moviment” che, nella seconda metà dell’ottocento, aveva favorito in Inghilterra i tentativi degli amanti delle piante tropicali e subtropicali di individuare tecniche di propagazione e coltivazione che permettessero di farle sopravvivere al clima poco favorevole, pur nei giardini all’aperto.
Thomas Hanbury, sposatosi nel 1868 con Chaterine Aldam Pease, dal 1874 passò gli inverni a La Mortola. All’anno prima (febbraio 1873) risale l’inserimento di numerosi individui di Strelitzia reginae (HT21) nell’aioletta a sinistra dell’ingresso al Piazzale. Indigena del Sudafrica, questa specie fiorisce tra maggio e giugno e fruttifica tra settembre e ottobre. Il suo nome scientifico è stato attribuito in onore della regina Charlotte of Strelitz, moglie del re Giorgio III. I fiori detti Gru o Uccello del Paradiso vengono impollinati dagli uccelli del Sole; quando questi si posano a bere il nettare, i petali si aprono coprendo le loro zampe di polline.
Poco più avanti, un’altra aiuola ospita una piccola collezione di camelie (HT22). Questo genere, insieme a rododendri ed azalee, solitamente non ama il tipo di terreno
calcareo come quello presente all’interno del complesso. Già ai tempi degli Hanbury dunque si dovettero studiare soluzioni agronomiche per “aggiustare” la composizione chimica del substrato.
All’epoca di Thomas prevalsero alberi ad alto fusto che creavano insiemi boscosi.
Un esempio è il Cupressus macrocarpa (HT23) presente nell’aiuola tra le scale, verso il vallone. Questo cipresso, endemico della California, fu piantato qui prima del1889. In natura la specie è confinata in due piccole foreste protette in cui gli alberi hanno circa 2000 anni.
Lontano dall’areale di origine questo cipresso è coltivato in Europa, in zone con clima simile a quello californiano: Grecia, Italia, Portogallo. Il legname viene impiegato nella realizzazione di imbarcazioni o come legno decorativo grazie al suo colore raffinato.
All’intero della stessa aiuola svetta verso il cielo un esemplare di Araucaria cunninghamii (HT24) seminata da Daniel Hanbury nel giugno del 1872. Il nome scientifico della pianta è stato attribuito in onore del botanico ed esploratore Allan Cunningham, che raccolse il primo esemplare nel 1820 lungo le coste dell’Australia. Qui gli aborigeni utilizzano la sua resina come cemento. Gli alberi possono crescere fino a 450 anni e raggiungere i 60 metri d’altezza. L’individuo presente nei Giardini si è acclimatato, produce polline tra ottobre e novembre, e a volte matura i semi tra agosto e settembre.
Percorrendo il sentiero sotto il Piazzale nord, è possibile intravedere il Vallone (HT24), la parte più selvaggia dei Giardini. Qui, all’arrivo di Thomas, erano stati tagliati molti alberi e pascolavano abusivamente gli ovini; il suo intento fu dunque quello di riportare la vegetazione spontanea al rigoglio iniziale. Così, mantenute o immesse nuovamente, crebbero diverse specie: i pini (Pinus halepensis, P. pinaster, P. canariensis, P. insignis e P. pinea), diversi cisti (Cistus sp. ), alaterni (Rhamnus alaternus), lecci (Quercus ilex). Inoltre lungo il rio Sorba vennero piantati oleandri, glicini e specie di ambienti umidi.
Arrivati al Piazzale sud, è possibile ammirare un grosso e vetusto arbusto di Punica granatum (HT25), esistente già quando Sir Thomas Hanbury acquistò la proprietà.
Il melograno si ritiene originario dell’Asia sudoccidentale, coltivato nelle regioni caucasiche da tempi immemorabili. Storicamente risulta che sia stato diffuso nel Mediterraneo dai Fenici, dai Greci e poi dagli Arabi. Il nome del genere Punica deriva dal nome romano della regione costiera della Tunisia (chiamata anche cartaginese) dalla quale furono per la prima volta importati a Roma i frutti. Il melograno è inoltre presente nella simbologia di molte religioni.
Nella Bibbia (Deu. 8:8) il melograno è indicato come uno dei sette frutti elencati come speciali prodotti della “Terra Promessa”.
Per gli ebrei rappresenta un simbolo di onestà e correttezza, dato che il suo frutto conterrebbe 613 semi (di certo circa 600), stesso numero delle prescrizioni indicate nella Torah per tenere un comportamento saggio ed equo.
Alcuni studiosi in teologia ebraica hanno inoltre supposto che il “frutto proibito” del Giardino dell’Eden fosse in realtà un melagrano e non un pomo. Ciò sarebbe in accordo anche colCorano (55:068), dove il melograno viene descritto crescere nel Giardino del Paradiso.
Il melograno è presente nello stemma della città di Granada (Spagna) e in quello di molte città in Turchia. Un melograno era anche disegnato nella decorazione dell’emblema della regina Caterina di Aragona, la prima moglie del Re Enrico VIII. In seguito all’incapacità di dare un figlio maschio al Re, la donna fu ripudiata, ed il re sposò in seconde nozze Anna Bolena. Non appena divenne regina, quest’ultima come primo decreto cambiò la decorazione del blasone con un falcone bianco che
beccava i grani del melograno.
Nell’aiuola a sudest del Mausoleo Moresco, pendente da un grosso cipresso, è possibile ammirare un folto gruppo di Efedra altissima (HT26), una specie originaria dei monti dell’Atlante in Marocco, inserita nei Giardini prima del 1889 e spontaneizzatasi. L’efedra, detta anche uva di mare, è un genere di piante arbustive con rami simili alle fronde di equiseto, appartenente alla divisione delle Gnetophyta. Le piante contengono composti stupefacenti impiegati nelle preparazione delle anfetamine, come l’efedrina e la pseudoefedrina.
Sono state usate tradizionalmente dai popoli indigeni per scopi medicinali incluso il trattamento dell’asma, del raffreddore e della febbre. Inoltre efedra potrebbe essere la pianta impiegata nella produzione del soma, un succo inebriante impiegato nei sacrifici nella religione indo-iraniana.
L’area di fronte il Mausoleo Moresco, ospita un’ampia lecceta (HT27). Discostandosi dai suoi contemporanei, Thomas Hanbury volle valorizzare il ruolo della vegetazione spontanea, anche dal punto di vista estetico; così nelle varie parti della proprietà dove vennero piantate specie esotiche cercò sempre di integrare con specie mediterranee.

Thomas amava i cipresssi e cercò di mantenere sempre rigoglioso il Viale dei Cipressi che dal Mausoleo Moresco scende verso l’Antica Strada Romana. Il cammino sembra poi continuare idealmente nel Viale degli Ulivi. Il cipresso, albero legato alla morte, e l’ulivo, albero della vita, permettono infatti una continuità tra la storia e il paesaggio; sono cresciuti qui centinaia di anni fa, si completano anche per la loro forma: uno dal tronco slanciato, dalla linea dei rami verticali che gli da un carattere composto e severo, l’altro basso dal tronco contorto con la fisionomia tonda dei suoi rami, con il suo carattere semplice e allegro.
Alla fine del Viale dei Cipressi, sulla destra, è possibile osservare un gruppo di Acanthus arboreus (HT29), inserito già alla fine del XIX secolo e proveniente dall’Africa
tropicale. A confermare gli interessi farmacologici di Daniel Hanbury, questa specie contiene diversi alcaloidi che sono stati recentemente isolati grazie a nuovi studi fitochimici.
L’introduzione delle brugmansie o dature (HT30) presenti nell’aiuola a nord dell’Antica Strada Romana, risale alla fine dell’800 ad opera di Daniel Hanbury. Il farmacista era molto interessato alla coltivazione delle Solanaceae, famiglia di grande importanza farmaceutica. Nelle regioni sudamericane da cui hanno origine, queste piante venivano impiegate dalle popolazioni indigene come veleni, per usi terapeutici, psichedelici e nelle cerimonie religiose. La presenza di alcaloidi, infatti, conferisce alle piante proprietà psicotrope e allucinogene. I fiori, a forma di tromba o di campana, sono spesso penduli ed emanano un leggero profumo che nelle nostre zone attira Herse convolvuli; questo lepidottero ha la proboscide molto lunga e di sostituisce ai colibrì nell’opera di impollinazione.
A sinistra del Viale dei Cipressi, nell’aiuola delle Malaleuche, è possibile ammirare un altro grande albero storico dei Giardini: il Brachychiton discolor (HT31). Appartenente alla famiglia delle Sterculiaceae, questa pianta cresce nelle foreste dell’Australia, dove può raggiungere i 30 metri d’altezza.
Gli indigeni australiani utilizzano il suo legno per le costruzioni, mentre i semi arrostiti vengono mangiati. La specie si è ben acclimatata nei Giardini, dove fiorisce in estate e fruttifica tra novembre e gennaio.
Oltrepassata l’Antica Strada Romana, a desta della scaletta che porta alla Piana, è possibile osservare due grandi alberi introdotti all’inizio della storia dei Giardini. Si tratta di Photinia davidiana (HT32), appartenente alla famiglia delle Rosaceae, originaria della Cina e dell’est asiatico, e introdotta in NordAmerica come pianta da giardino, e Elaeocarpus obovatus (HT33) originaria delle foreste tropicali dell’Australia, dove raggiunge i 45 m d’altezza e 150 cm di diametro.
La prima aiuola a destra della Piana ospita una vasta collezione di piante da frutto esotiche di diversa origine che riescono a produrre frutti nelle regioni a clima mediterraneo. Alcune piante come gli avocadi, Persea americana (HT35), sono piuttosto comuni in quanto ormai consumati in tutto il mondo; altri frutti invece sono un po’ meno noti come la feijoa, Acca sellowiana (HT34). Questa specie è un arbusto sempreverde originario degli altipiani del SudAmerica. I fiori possono essere utilizzati peri nsalate o fatti sciogliere sulla lingua. I frutti hanno una polpa morbida, con gusto a metà tra l’ananas e la fragola. La feijoa viene coltivata anche in Italia (in particolare proprio in Liguria), in alcuni paesi dell’ex-Unione Sovietica e in Nuova Zelanda, grazie alla caratteristica di sopportare bene anche temperature moderatamente basse, o addirittura leggermente sotto lo zero. Una curiosità antropologica: la feijoa nelle ex colonie spagnole viene chiamata anche con il nome comune di guayabo; questo termine oltre ad designare l’arbusto, serve per indicare le ragazze giovani e attraenti.
All’interno del frutteto esotico è ospitato anche un esemplare di Leptospermum levigatum (HT36). Questa pianta fu donata a Daniel Hanbury da M. Thuret, di Antibes, nell’ottobre del 1871. Comunemente chiamato albero del tè australiano, il Leptospermum appartiene alla famiglia delle Myrtaceae. In natura cresce lungo le
coste d’Australia e resiste bene al sale, tant’è che in California viene adesso impiegato per stabilizzare le dune di sabbia.
Pochi metri più avanti del frutteto esotico, si incontra una grande aiuola ordinata secondo criteri sistematici. Qui è possibile ammirare due grandi alberi storici: il Podocarpus elongatus (HT37) ed ilBrachychiton acerifolius (HT38).
Il nome Podocarpus deriva dal greco podo – piede e karpos frutto. La specie, originaria dell’Africa occidentale, appartiene alla famiglia delle Cupressaceae, un gruppo di conifere che non producono coni ma portano i semi in galbuli. Il legno di questo albero veniva utilizzato per la realizzazione di sedie. L’esemplare si è acclimatato, produce polline in febbraio, ma non semi.
L’esemplare di Brachychiton acerifolius era presente nei Giardini già prima del 1912. La specie, descritta per la prima volta nel 1855, appartiene alla famiglia delle Sterculiaceae ed è nativa delle regioni subtropicali dell’Australia. È famosa per i fiori rossi a forma di campana che ricoprono la pianta quando è ancora senza foglie. I semi sono altamente nutritivi e vengono mangiati dagli aborigeni dopo essere stati tostati, in modo da togliere le piccole spine che li circondano. La specie si è ben acclimatata nei Giardini, fiorisce tra giugno e luglio, e fruttifica tra novembre e dicembre.

Tra l’Antica Strada Romana e il mare, oltre il vecchio oliveto, si incontra un esteso agrumeto (HT39) ospitante un’importante collezione di varietà antiche di agrumi. Un consistente numero di esemplari erano già presenti nel 1867, quando Thomas Hanbury acquisto il podere, e vennero conservati nell’allestimento dei Giardini.
Attualmente sono coltivate molte specie e varietà importanti per scopi alimentari, cosmetici, farmaceutici ed ornamentali. Tra esse si notano il Citrus aurantium ‘Corniculata’ inserito già nel 1880, ilCitrus maxima piantato nel 1911 e i pummelli (o Shaddock, dal nome del capitano inglese che per la prima volta introdusse la specie dall’India in Europa), con grossi frutti simili a pompelmi del peso di 1,5 kg.
Il gruppo degli agrumi è originario dell’Asia meridionale e deriverebbe da un arancio selvatico che si suppone essere il progenitore degli aranci coltivati, dolci ed amari. In particolare, l’arancio dolce, introdotto in Europa dai Portoghesi, venne coltivato già verso la metà del XV secolo. Nel secolo successivo, la coltivazione degli agrumi era molto diffusa in Liguria: a Nervi, a Genova, a San Remo.
Nell’aiuola tra la Macina e la pineta svetta uno degli alberi storici più alti dei Giardini, il Cupressus torulosa (HT40). L’individuo si è ben acclimatato, produce polline tra gennaio e febbraio, e matura semi tra novembre e dicembre. Il cipresso dell’Himalaya cresce in Himalaya, Cina e Vietnam, trai 1000 e 3000 metri all’interno di foreste tropicali e subtropicali. È una specie in pericolo di estinzione in natura, e la presenza in Orti Botanici rappresenta una forma di conservazione ex situ della specie. Il legno è piuttosto aromatico e l’olio essenziale estratto dalle sue parti viene usato in medicina come antinfiammatorio e antisettico.
Scendendo dalla scaletta ad ovest della Macina, in una delle fasce terrazzate, è possibile ammirare un antico esemplare di Colletia spinosa (HT41). La specie appartiene alla famiglia delleRhamnaceae ed è originaria di Perù, Cile, Argentina ed Uruguay. Crescendo in natura in aree asciutte e a piena esposizione al sole, la collocazione scelta dagli Hanbury qui nei Giardini risulta ottimale. La specie si è ben acclimatata, fiorisce tra marzo e maggio, e fruttifica tra giugno e agosto.
Arrivati infine nello spazio più prossimo al mare, nell’aiuola ad est della Pergola e del bar è visibile una Buddleja madascariensis (HT42), risalente al 1878. I giardini europei si erano arricchiti di diverse specie di Buddleja già alla fine del 1700. Il nome del genere deriva dal pastore Adam Buddle, medico e botanico inglese, mentre il primo ad usare tale nome fu il dottor William Houston, medico e botanico scozzese, ma si è consolidato dopo che Linneo lo usò storpiandolo nei suoi cataloghi.
Questa specie, originaria del Madagascar, si è acclimatata senza problemi, è infatti adatta alle zone litoranee ad inverno mite; fiorisce tra gennaio e aprile, e fruttifica
a luglio. È da ricordare inoltre che il massimo del rigoglio e delle fioritura dell’intero complesso botanico avveniva nel periodo invernale che, non a caso, corrispondeva al periodo di permanenza degli Hanbury.

BIBLIOGRAFIA
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Tipolitografia S. Giuseppe, Arma di Taggia.
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